Don Angelo De Prosperis (1877-1951) sacerdote di grande rigidezza morale, dopo alcuni anni passati come gesuita nella Compagnia di Gesù, ritornò in Diocesi a Palestrina dove si occupò dei ragazzi e dei giovani, che attirava con estrose trovate e grazie alla sua facondia. Proprio a questi giovani, che egli benevolmente chiama ” i miei cagnarotti “, dedicò la raccolta di poesie che qui sono riproposte. Passò gli ultimi anni della vita, quasi paralizzato, in una stanzetta del Seminario Vescovile, ove morì nel 1951 all’età di 74 anni. Molte delle poesie sono favole di animali che si richiamano a quelle di Fedro attualizzate. In esse egli riscopre l’amore per il suo paese e la sua lingua dialettale, mantenendo un intento moralizzatore dei costumi, cui allude il richiamo all’olio di ricino purificatore nel titolo Ricilene che accompagna la sua innata vis comica che trascorre lieve, da un fatto all’altro, attraverso la rievocazione delle abitudini del palestrinese sempre con l’intento di cogliere il momento adatto per una seria correzione morale. Insomma “castigat ridendo mores” è l’intento che muove le sue poesie. Così il sacerdote ha modo di condannare l’indecenza, la superstizione, l’uso smodato del vino e tutti i vizi che i cristiani di allora potevano presentare.
Le poesie stesse alternano appunto favole, scene di vicende quotidiane, considerazioni filosofiche sulla vita, sulla morte, sul tempo che fugge e talvolta irresistibili ed originali quadri di vita vissuta come nello spassoso “Lo cenone”, che costituisce una completa rassegna dell’alimentazione e delle specialità natalizie di Palestrina a cavallo dell’Ottocento e del Novecento.
Lo cenone
In questa poesia l’autore descrive in chiave ironica e bonaria le abitudini alimentari tradizionali alle quali la gente semplice si sbizzarriva durante le ricorrenze importanti, cosa che si presentava sistematicamente durante il Natale ,la Pasquae le festività del Santo patrono . Per l’occasione viene qui descritto il tipico cenone della sera della vigilia di Natale.
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RICILENE
“ Ho incominciato a scrivere questi trafiletti e, se mi dura la volontà, man mano, col passar del tempo, giungerò all’ultimo numero “.
Così Don Angelo ha autodefinito la curiosa serie di bozzetti, sentenze, aneddoti, che qui ci si accinge a presentare. Essi traggono lo spunto sempre dalla realtà locale, sono spigolature di vita cittadina che bonariamente vengono riferite all’orecchio attentodi un ipotetico interlocutore. Le confidenze appaiono sorrette da una piacevole vena ironica, che trascorre lieve, da un fatto all’altro, attraverso la rievocazione delle abitudini dei predestini, sempre con l’intento di cogliere il momento per una seria correzione morale e crescita culturale.
‘NA CAPOCCIA FINA
Questo sonetto non ammette commenti, forse voleva essere solo una piaggeria dell’autore.
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Na capoccia fina di De Prosperis
LO MARTIELLO E LA MAZZA
In questo sonetto l’autore immagina un ipotetico sodalizio fra il martello e la mazza del fabbro per saggiare la resistenza dell’incudine.
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Lo martiello e la mazza di De Prosperis
L’ELLERA E LO TORDO
In questo sonetto l’edera avvisa il tordo, che si è posato su di essa, della presenza in zona del cacciatore che sparando al tordo, impallina anche l’edera.
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Lellera e lo tordo di De Prosperis
LA TAVOLA, LA SECA E LA LIMA
In questo sonetto una lima richiama l’attenzione di una sega la quale giustamente è forte con la tavola di legno, pronta a tagliarla, ma non altrettanto con la lima contro la quale si romperebbe i denti.
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La tavola, la sega e la lima di De Prosperis
L’ORO E LO MUCCHIO DE RENA
In questo sonetto l’autore descrive brevemente come il sentimento di invidia sia perverso e come poi rechi danno soltanto a chi lo persegue e se ne lasci trasportare verso comportamenti di dubbia cortesia.
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Loro e lo mucchio de rena di De Prosperis
LA PIENA E L’ORTOLANO
In questo sonetto viene presentato un gustoso battibecco fra un corso d’acqua, quando esso è in piena, e l’ortolano che lo utilizzava per annaffiare l’orto.
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La piena e lortolano di De Prosperis
L’AUTOMOBILE E LO CARETTO
In questo sonetto si registra la riflessione di un vecchio carretto che si trova a dover lasciar la mano, per il trasporto, ormai all’automobile e riflette sulla sua tolleranza sulla strada rispetto alla prepotenza dei nuovi mezzi meccanici.
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Lautomobile e lo caretto di De Prosperis
LA CIMA DE BROCCOLO
In questo sonetto l’autore, giocando sul doppio senso del termine “broccolo”: lancia un avvertimento alle persone credulone e facili alla boria: non sempre i complimenti, anche i più pomposi ed altisonanti, sono gratuiti e sinceri. Spesso e volentieri il fine di chi li elargisce è di tutt’altra natura.
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La cima di broccolo di De Prosperis
LA NEVE
In questo sonetto l’autore riflette sulla caducità della vita in special modo quando riferisce il proverbio, reminescenza della cultura popolare, “ vita brava, vita breve”, ovvero coloro che son brave persone sono sempre i primi che se ne vanno.
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LA VOLEPA E LA STORIA
In questo sonetto l’autore riflette sulle bassezze morali dell’uomo quando assume dei comportamenti non sempre coerenti e rispettosi. Poi quando si accorge degli errori che combina, cerca sempre un capro espiatorio.
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La volepa e la storia di De Prosperis
LO FARGO E LI CARDELLI
In questo sonetto l’autore descrive la bassezza morale ed il disprezzo a cui sono soggetti coloro che sono forti e prepotenti con i piccoli e deboli, ma sottomessi ed appecoronati con i forti.
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Lo fargo e li cardelli di De Prosperis
LA LUNA E LO SOLE
In questo sonetto registriamo la diatriba della luna nei confronti del sole in funzione dell’utilità illuminescente che arrecano ai terrestri senza contare che la stessa luna vive di luce riflessa dal sole.
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La luna e lo sole di De Prosperis
L‘ELLERA E LO CASALE
In questo sonetto Do Angelo ci illustra bonariamente il tentativo dell’edere, notoriamente pianta parassitaria, che vuole mascherare il suo tornaconto particolare con l’altruismo disinteressato, anzi frutto di grande sacrificio personale.
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Lellera e lo casale di De Prosperis
LA MUORTE E LO REDE
In questo sonetto Don Angelo ci illustra il maldestro tentativo della morte di mascherarsi da benefattrice. Ma la morte non è altruista; il suo compito e quello di falciare gli uomini: no aiutarli a vivere.
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