Tradizioni Culinarie

Quando parliamo di tradizioni culinarie della città di Palestrina non possiamo non parlare di quatro tipici cibi della tradizione dei colli Prenestini:

  • Ciambelline al vino:  dolce tipico di tutta l’area collinare della provincia di Roma dove si coltivava e si coltiva principalmente la vite e l’olivo
  • I Giglietti: dolce tipico che era ed è tutt’ora il principe dei dolci da e
    Giglietti Prenestini
    Giglietti Prenestini

    sibire in qualsivoglia festeggiamento e/o ricorrenza , sia esso di carattere pubblico che privato. L’immagine laterale ci dà la percezione reale della forma e della grandezza del tipico biscotto “Giglietto” di uova , zucchero e farina

  • Il Pampepato: principe dei dolci natalizi prenestini.la tradizione dolciaria della città di Palestrina nel periodo natalizio si identifica con il classico pampepato “ pampapato” localmente detto. Un dolce che trae origine sempre dalla cucina semplice e diretta e dall’utilizzo dei prodotti  che facevano parte della disponibilità contadina tipica della stagione autunnale.Lo Pampapato:  Come poteva mancare una poesia dedicata al dolce tipico prenestino “ Il Pampepato”.  Don Angelo De Prosperis ci descrive, con immagini sempre molto colorite ed a volte comiche il tipico cenone della sera della vigilia di Natale. Sono elencate in bellavista tuttre le portate tradizionali  della cena, il Pampepato come si potrà notare  era l’unico dolce ammesso: Lo cenone di De Prosperis
  • Il Tordomatto: Un piatto tipico della cucina povera contadina.A dispetto del nome “ il Tordomatto”  non è un piatto di cacciagione, come il nome stesso potrebbe lasciar intendere, è invece una elaborazione  della carne, anche  di mulo, per intenerirla e renderla commestibile  e gradevole al palato.  Storicamente “ il Tordomatto “ come piatto  della cucina povera della campagna romana nasce  sicuramente in  periodo antecedente  l’unità d’Italia. Difatti esso è un retaggio dei metodi che adottavano i sudditi poveri dello Stato Pontificio addetti ai lavori della terra per consumare la carne di animali non troppo commestibili.  Difatti ogni qualvolta capitava che per cause naturali una bestia da lavoro vecchia, sia esso bue, cavallo o, molto più spesso, mulo, fosse in condizioni non più idonee al servizio: veniva  donata, ove non andasse sprecata,  agli stessi contadini che erano addetti ai lavori dei campi che la potevano macellare per mangiarla. E’ facilmente immaginabile che costoro non potevano certo,e forse neanche volevano, consumare nell’immediato l’intero animale, dato che l’eliminazione degli stessi non era certo cosa frequente. Per questo ci si poneva il problema della conservazione della carne che, tolta la salagione e/o l’essiccamento, avveniva al naturale in grotte scavate nel terreno. Questo non dava sempre buoni risultati per cui si presentava correntemente l’esigenza di rendere l’alimento conservato, sia esso  carne o altro, il meno sgradevole possibile al consumo: per questo i nostri predecessori  si ingegnarono nel ricercare delle soluzioni culinarie che utilizzando soltanto gli ingredienti  disponibili in natura e/o reperibili ,visto il  misero stato  economico, direttamente nei campi, dessero  ai cibi gusto e salubrità.